Approfondimenti · 14 Settembre 2024
Dagli scambi di spie della Guerra fredda ai sequestri e alla criminalità dell’era Putin
Günter Guillaume (a destra) assieme a Willy Brandt (a sinistra) nel 1974 (Foto Bundesarchiv, B 145 Bild-F042453-0011 / Wegmann, Ludwig / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 de, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5456504)
Dopo lo scambio di 24 prigionieri fra Stati Uniti e Russia, il direttore del Centro Studi sulla Guerra fredda Mark Kramer analizza come la natura di queste transazioni tra Est e Ovest sia mutata nei decenni, ponendo in evidenza lo stridente contrasto tra gli individui che la Russia ha rilasciato e quelli che ha riaccolto, nonché l’«azzardo morale» che ciò comporta per l’Occidente.
Lo scambio di prigionieri tra Est e Ovest che ha avuto luogo a inizio agosto e che ha visto il trasferimento di otto cittadini russi dall’Occidente in Russia e il rilascio da parte di quest’ultima di 16 persone dirette in Germania e negli Stati Uniti presenta alcune analogie con gli scambi dei tempi della Guerra fredda, ma anche svariate differenze di rilievo. All’epoca della Guerra fredda, gli scambi avevano di norma per oggetto individui accusati di spionaggio, intermezzati di tanto in tanto da qualche prigioniero politico; per contro, quest’ultimo scambio ha coinvolto un assortimento di persone assai più complesso.
Oltretutto, la quota russa dell’accordo porta il marchio della criminalità di bassa lega e dello sprezzo per le norme internazionali che sono venuti a contraddistinguere lo Stato russo sotto Vladimir Putin. È quantomeno incerto se le ricadute positive per i Paesi occidentali si riveleranno superiori a quelle negative.

Precedenti dell’epoca della Guerra fredda
Gli scambi di prigionieri avvenuti durante la Guerra fredda ebbero perlopiù portata limitata, coinvolgendo di norma una o due persone arrestate per spionaggio per ciascuna delle parti. Così fu, ad esempio, nel febbraio 1962, quando Francis Gary Powers, un pilota ricognitore della CIA abbattuto dalle forze sovietiche mentre sorvolava il territorio dell’URSS a bordo di un aereo spia U2, fu scambiato con il colonnello del KGB William Fisher, alias Rudol’f Abel’, arrestato negli Stati Uniti nel 1957 con accuse di immigrazione clandestina e spionaggio. Lo scambio Fisher-Powers ebbe luogo sul ponte di Glienicke, che collegava Berlino Ovest alla Germania Est, immortalato nel film “Il ponte delle spie”.
Simile il caso dell’aprile 1964, quando un agente dell’intelligence estera del KGB, Konon Molodyj, che aveva operato sotto copertura in Gran Bretagna fingendosi un imprenditore canadese con il falso nome di Gordon Lonsdale fino all’arresto da parte del controspionaggio britannico nel 1961, fu scambiato con Greville Wynne, uomo d’affari britannico che aveva svolto il ruolo di corriere per l’MI6, il servizio di intelligence estera del Regno Unito. A Mosca, Wynne era stato il contatto di un colonnello dell’intelligence militare sovietica (GRU), Oleg Pen’kovskij, il quale collaborava clandestinamente con l’MI6 e la CIA. Wynne e Pen’kovskij furono entrambi arrestati nel novembre 1962. Pen’kovskij fu giustiziato l’anno successivo, mentre Wynne ricevette “solamente” una condanna a otto anni di carcere, il che ne rese possibile lo scambio nel 1964 (la loro storia è raccontata nel film del 2020 “L’ombra delle spie”).
Scambi invisibili
Molti scambi di prigionieri durante la Guerra fredda furono oggetto di un’estesa copertura mediatica, ma altri si svolsero in sordina, evitando deliberatamente di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica.
Così fu, ad esempio, nell’ottobre 1981, quando una delle più perniciose spie del blocco sovietico mai smascherate, Günter Guillaume (che era stato tra i più stretti collaboratori del Cancelliere della Germania Ovest Willy Brandt e per anni, fino al suo arresto nell’aprile 1974, aveva trasmesso clandestinamente documenti molto sensibili al Ministero per la sicurezza dello Stato della Germania Est, la Stasi), fu consegnata da un giorno all’altro alla Germania Est insieme ad altre quattro spie della Stasi detenute in cambio di otto agenti dei servizi d’intelligence di Regno Unito, USA e Germania Ovest, accusati di spionaggio dalle autorità della DDR. Il cosiddetto “affaire Guillaume” aveva portato nel 1974 alla caduta del governo Brandt e aveva suscitato grande scalpore in Germania Ovest.
Pertanto, il governo di quest’ultima tenne lo scambio di Guillaume e della moglie (complice della sua attività spionistica) lontano dai riflettori fino all’ultimo momento, ritraendolo come poco più che un comune delinquente che aveva scontato quasi otto dei 13 anni cui era stato condannato per spionaggio.
In una manciata di occasioni, gli scambi dell’epoca della Guerra fredda coinvolsero anche prigionieri politici e attivisti per i diritti umani perseguitati dal regime comunista dell’URSS. Fu questo il caso dello scambio realizzato nel dicembre 1976, quando uno dei più noti dissidenti e difensori dei diritti umani sovietici, Vladimir Bukovskij, fu espulso dall’URSS in cambio del rilascio di Luis Corvalán, leader del Partito comunista cileno, arrestato e incarcerato nel settembre 1973 a seguito del golpe militare che aveva portato al potere il Generale Augusto Pinochet. Bukovskij tentò di opporsi all’espulsione dall’URSS: il KGB lo caricò a forza, in manette, a bordo di un aereo da trasporto sovietico che lo recapitò all’aeroporto di Zurigo, dove ebbe luogo lo scambio.
L’accordo interessava soltanto due prigionieri, ma l’esigenza di ottenere il consenso di diversi governi (svizzero, cileno, sovietico e statunitense) lo rese oggetto di complesse trattative.

Altri scambi
A metà degli anni ’80, dopo l’ascesa al potere di Michail Gorbačëv a Mosca, divenne possibile negoziare accordi più intricati. Il più ampio scambio di prigionieri EstOvest mai realizzato ebbe luogo nel giugno 1985, ancora una volta sul ponte di Glienicke, dopo che gli USA ebbero accettato di rilasciare dalle proprie carceri quattro spie appartenenti al blocco sovietico (tra cui il famigerato agente dell’intelligence estera polacca Marian Zacharski) in cambio della liberazione di 25 occidentali (in gran parte cittadini della Germania Ovest) detenuti in Germania Est e Polonia con l’accusa di spionaggio. L’accordo, che non aveva precedenti per portata e complessità, coinvolse sei governi e fu raggiunto solo dopo tre anni di intense trattative e l’avvento al potere di Gorbačëv.
Otto mesi dopo, un altro scambio di altro profilo sul ponte di Glienicke condusse al rilascio di uno dei più noti attivisti sovietici per i diritti umani, Anatolij Ščaranskij, insieme a tre agenti d’intelligence occidentali di basso rango accusati di essere spie (Ščaranskij aveva già scontato oltre otto anni nel brutale sistema carcerario sovietico per accuse infondate di spionaggio). In cambio, i governi degli USA e della Germania Ovest accettarono di rilasciare cinque spie del blocco sovietico incarcerate in diversi momenti nell’arco degli anni ’80. Appena rilasciato, Ščaranskij si recò in Israele, dove cambiò nome in Natan Sharansky e divenne in breve tempo un politico molto influente. Delle spie coinvolte nello scambio, invece, si sono perlopiù perse le tracce.

(Foto di Kremlin.ru, CC BY 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=146739948)
Tratti distintivi dell’era Putin
In termini di portata e di complessità, lo scambio di inizio agosto è paragonabile a quello del 1985; per altri versi, tuttavia, è unico nel suo genere, specialmente se si guarda al contrasto stridente tra i prigionieri rilasciati dalla Russia (e nel caso di un cittadino tedesco, dalla Bielorussia) e coloro che hanno fatto ritorno nel Paese. Tra i sedici che hanno lasciato la Russia, non si contano autentici agenti dell’intelligence. Si tratta invece perlopiù di cittadini russi e occidentali rimasti vittima della brutale ondata di repressione scatenata da Putin in concomitanza con la guerra della Russia contro l’Ucraina: giornalisti occidentali ingiustamente incarcerati in Russia negli ultimi due anni, insieme a un cospicuo numero di cittadini russi privati della libertà per il loro impegno a favore della democrazia e dei diritti umani e per aver condannato la devastazione e lo spargimento di sangue inflitti dalla Russia all’Ucraina.
Per contro, tra gli otto cittadini russi rientrati in patria dalle carceri di diversi Paesi occidentali non vi sono che spie, cybercriminali, ladri; c’è persino uno spietato assassino, Vadim Krasikov, la cui inclusione nello scambio è stata cruciale, a quanto risulta, nel garantire il benestare di Putin. Sembrerebbe che i tentativi delle autorità statunitensi e tedesche di escludere dall’accordo questo sicario professionista del Servizio di sicurezza federale russo (FSB) siano stati respinti da Putin; a quanto pare, questi vede in Krasikov il tipo di agente di sicurezza che il governo russo deve proteggere a ogni costo. Deplorevolmente, la vedova di una delle vittime di Krasikov, un attivista per i diritti umani ceceno freddato da quest’ultimo in pieno giorno a Berlino nel 2019, non è stata preventivamente informata che l’assassino del marito sarebbe tornato a piede libero.
Da nessuno scambio dell’epoca della Guerra fredda era emersa una così netta dicotomia tra i tipi di persone tenuti in più alta considerazione dalle due parti. L’accordo ha evidenziato come i Paesi occidentali diano la priorità ai difensori della democrazia, dei diritti umani e della libertà di stampa, mentre la sola preoccupazione di Putin è proteggere assassini, truffatori e hacker, a patto che gli siano legati da un rapporto di fedeltà incrollabile e da un debito di riconoscenza.
Con almeno otto Paesi coinvolti e l’esigenza di definire molti dettagli sensibili nella massima segretezza, le trattative sarebbero potute facilmente saltare, come difatti è quasi accaduto in più occasioni. Ancora il 21 luglio, lo stesso giorno in cui ha annunciato il suo ritiro dalla campagna per le presidenziali del 2024, il Presidente statunitense Joe Biden ha chiamato per la prima volta il suo omologo sloveno per concordare l’inclusione nell’accordo di due spie russe detenute in Slovenia. I due avevano vissuto a Lubiana dal 2017 fingendosi una coppia di coniugi di origine argentina ed erano finiti in carcere nel dicembre 2022 dopo la scoperta della loro vera identità di agenti dormienti russi e l’arresto da parte del controspionaggio sloveno.
Inoltre, fino alla morte nel febbraio 2024 del leader d’opposizione russo Aleksej Naval’nyj, detenuto in condizioni brutali in un carcere russo vicino al Circolo polare artico, i rappresentanti occidentali avevano insistito sulla sua inclusione in qualsiasi possibile accordo. Benché le precise circostanze della morte di Naval’nyj non siano mai state rese pubbliche, non vi sono molti dubbi sul fatto che Putin e il suo entourage abbiano cercato di tirare i negoziati per le lunghe fintantoché l’attivista non fosse morto o le sue condizioni di salute si fossero aggravate al punto da renderne impraticabile il trasferimento.
Hanno avuto ciò che desideravano quando Naval’nyj si è spento il 16 febbraio, e da quel momento è rimasto un unico vero ostacolo al raggiungimento di un accordo: la questione dell’inclusione di Krasikov. Alla fine i russi l’hanno avuta vinta su questo punto cruciale.

(Foto Di IlyaIsaev – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=31173230)
La Russia di Putin
Lo scambio non sarebbe mai avvenuto se la Russia di Putin non si fosse trasformata in uno “Stato sequestratore”, alla stregua dei regimi della Corea del Nord e della Cina di Xi Jinping, che hanno fatto dei rapimenti un’arte. Negli ultimi anni, e in particolar modo dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, le autorità russe si sono messe di buona lena a prelevare e incarcerare cittadini occidentali da tenere in ostaggio e poter poi scambiare con delinquenti, spie e assassini russi. Le persone finite nel mirino di tali operazioni non sono realmente spie; anzi, si tratta in gran parte di giornalisti accreditati e di professionisti impegnati a fare informazione e ricerca in Russia, attività di routine che erano state generalmente tollerate prima del drastico inasprimento delle leggi repressive che ha coinciso con l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
L’unico episodio durante la Guerra fredda che presenti una qualche analogia con i sequestri patrocinati dallo Stato dell’era putiniana si verificò verso la fine dell’agosto 1986, quando il corrispondente principale da Mosca di U.S. News and World Report, Nicholas Daniloff, fu fermato nella capitale russa con accuse di spionaggio (egli non fu tuttavia mai formalmente incriminato). Il KGB lo prese di mira solamente perché la settimana precedente il controspionaggio statunitense aveva arrestato Gennadij Zacharov, spia sovietica che operava sotto le mentite spoglie di agente diplomatico presso le Nazioni Unite a New York. Il capo del KGB, Viktor Čebrikov, voleva un ostaggio da scambiare con Zacharov; Daniloff divenne suo malgrado il bersaglio di tale cinica operazione. Un mese dopo ebbe luogo lo scambio tra Daniloff e Zacharov, con la consegna dei due alle rispettive ambasciate.
Con Putin, il tipo di operazione condotta dal KGB nel 1986 è divenuto la norma. Giornalisti professionisti come Evan Gershkovich del Wall Street Journal e Alsu Kurmasheva di Radio Free Europe/Radio Liberty sono stati privati della libertà per il solo motivo di aver svolto il proprio lavoro. L’obiettivo degli arresti è non solo di disincentivare e impedire una corretta copertura mediatica degli eventi in Russia e in Ucraina, ma anche di mettere nelle mani dell’FSB ostaggi da scambiare. Il sequestro di questi cittadini stranieri è anche un modo di intimorire e mettere in fuga dalla Russia gli stranieri che non sostengono la guerra di Mosca.
L’inclusione nello scambio di otto attivisti russi per i diritti umani e la democrazia getta luce su un altro obiettivo fondamentale dell’amministrazione di Putin. Negli ultimi dieci anni, e soprattutto a partire dal febbraio 2022, quest’ultimo ha lasciato intendere a più riprese di voler costringere “feccia e traditori” (epiteti da lui riservati a chi vorrebbe che la Russia fosse un Paese democratico che convive pacificamente con i suoi vicini) a lasciare il Paese.
L’inclusione nell’accordo di inizio agosto di figure come Il’ja Jašin, Vladimir Kara-Murza, Andrej Pivovarov e Oleg Orlov ha portato Putin un passo più vicino al raggiungimento di questo obiettivo, come apertamente riconosciuto da Jašin e Kara-Murza quando hanno dichiarato che non avrebbero voluto essere portati fuori dalla Russia. Ciò non significa che i governi occidentali abbiano sbagliato a richiedere l’inclusione di attivisti per i diritti umani e la democrazia nello scambio; al contrario, è confortante vederli affrancati dalle dure condizioni delle carceri russe, che avrebbero potuto costare loro la vita. Ma questo tipo di approccio presenta un’evidente controindicazione.
L’azzardo morale
L’accordo appena concluso, così come lo scambio del dicembre 2022 tra la stella della pallacanestro femminile Brittney Griner e un famigerato trafficante d’armi russo, Viktor But, fornitore di primo piano di terroristi e dittature in tutto il mondo, solleva il problema dell’«azzardo morale». Questo termine è stato coniato molto tempo fa nel settore assicurativo, per indicare le strutture di incentivi che incoraggiano comportamenti rischiosi o indesiderabili. Il concetto ha poi assunto un uso più generale, venendo a riferirsi a situazioni in cui un attore malevolo che adotta un comportamento distruttivo riesce a farla franca senza subire conseguenze negative. Se Putin può impunemente prendere ostaggi e usarli a suo vantaggio, avrà tutte le ragioni per replicare tali comportamenti in futuro.
L’evidente rischio di azzardo morale in questo caso non significa che i leader occidentali avrebbero dovuto rinunciare all’accordo. I governi occidentali hanno ottenuto molto di più in questo scambio che nel precedente caso GrinerBut, che pareva un invito a prendere altri ostaggi. Ma per quanto tutti in Occidente possano gioire del rilascio di Gershkovich, Kurmasheva e degli altri 14 prigionieri da una detenzione ingiusta, i governi occidentali dovranno riflettere molto più seriamente su come far sì che Putin risponda dei suoi crimini ed evitare che le sue attività malevole, in Russia e all’estero, possano proseguire o intensificarsi.
Questo articolo è apparso per la prima volta nella newsletter del Davis Center di Harvard. La traduzione italiana, di Angelica Coda, nella newsletter del Circolo della Storia del 14 settembre
© Riproduzione riservata