Approfondimenti · 29 Novembre 2025
I treni dei bambini che salvarono l’Austria. La storia dimenticata dei Kindertransporte della Caritas
Nel secondo dopoguerra migliaia di bambini austriaci partirono per Spagna, Belgio, Olanda, Svizzera e Portogallo grazie ai viaggi organizzati dall’associazione cattolica. In un periodo segnato da fame, tubercolosi, propaganda politica e tensioni della Guerra fredda, la ricostruzione dell’Europa partì proprio dall’infanzia
Il 20 ottobre 2024 è uscito al cinema Il treno dei bambini, diretto da Cristina Comencini e tratto dall’omonimo romanzo di Viola Ardone (Einaudi, 2024). Il film, che è disponibile anche su Netflix, racconta la storia dei bambini del Sud Italia che, nel secondo dopoguerra, furono mandati al Nord dal Partito Comunista italiano per sottrarli a condizioni di vita estremamente difficili. Sia il film sia il libro hanno avuto grande successo, portando all’attenzione del grande pubblico una vicenda in gran parte dimenticata.
Quasi nessuno, però, sa che quella dei “treni dei bambini” non fu solo una storia italiana. Nel secondo dopoguerra i Kindertransporte partirono anche dall’Austria, diretti verso Spagna, Olanda, Belgio, Svizzera e Portogallo.
A organizzarli non fu il partito comunista, bensì la Caritas austriaca, associazione cattolica attiva sin dall’Ottocento. A bordo salirono decine di migliaia di bambini austriaci, provenienti soprattutto da Vienna. Questa è la loro storia.
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Il ruolo della Caritas
Alla fine della guerra l’Austria si trovava in una situazione socioeconomica drammatica. Nell’autunno del 1945 si registrò un’impennata di casi di tifo e, l’anno successivo, Vienna contò circa 26 mila malati di tubercolosi.
Le razioni alimentari nella capitale non superavano le 900 calorie giornaliere, ben lontane dalle 1.500-1.750 raccomandate dall’UNRRA, l’organismo delle Nazioni Unite per il soccorso e la riabilitazione.
Un’indagine dell’Ufficio della Sanità Pubblica Locale, datata 1946, rivelava che il 54% dei bambini viennesi era sottonutrita, il 24% gravemente sottonutrito e solo una minoranza (il 22%) godeva di condizioni compatibili con un’alimentazione adeguata.
La Caritas non era l’unica realtà attiva nel settore dell’assistenza all’infanzia: le iniziative private erano così numerose che il governo istituì un comitato presso il Ministero delle Politiche Sociali per coordinare gli interventi pubblici con quelli delle organizzazioni non governative.
La Caritas difese però sempre con fermezza la propria autonomia nell’organizzazione dei Kindertrasporte. La scelta delle destinazioni, per esempio, rimaneva esclusivamente sua e veniva definita in collaborazione con le Caritas presenti nei paesi ospitanti.
Anche la selezione dei bambini veniva gestita senza interferenze esterne, mentre il pagamento dei soggiorni avveniva soprattutto tramite attività di autofinanziamento, ad esempio con una lotteria a premi. Le richieste di sovvenzioni pubbliche capitavano solo in casi eccezionali, come nel 1947 per un soggiorno in Lussemburgo.
Le storie
I treni partivano solitamente da Vienna, Salisburgo o Linz, ciascuno con circa cinquecento bambini a bordo. La richiesta era altissima, tanto che non mancarono alcuni tentativi di truffa.
Nel 1951 la stampa raccontò il caso di Stefanie Dworzak, una donna che si presentava alle famiglie povere millantando rapporti con la Caritas e promettendo, dietro compenso, posti per soggiorni inesistenti. La disperazione di molte famiglie viennesi rendeva quei viaggi una delle poche possibilità per i bambini di affrontare l’inverno lontano da fame e malattie.
Le numerose interviste raccolte nel 2022 permettono oggi di restituire la voce ai protagonisti di allora. Christine, inviata in Spagna, ricordava come il medico di famiglia le avesse detto che la sua unica possibilità di sopravvivere alla tubercolosi fosse trascorrere l’inverno in un luogo dal clima più mite.
Una storia simile è quella di Antonia, che viveva con la famiglia in un seminterrato umido e si ammalò di tubercolosi: la madre venne a sapere dei Kindertransporte tramite il medico e la iscrisse ai soggiorni organizzati in Spagna e Portogallo.
Erna, invece, trascorse i primi anni del dopoguerra con la madre e una sorellina appena nata, vivendo quasi esclusivamente di patate e ortaggi ricevuti in dono dai parenti. La madre definì “una fortuna” la possibilità di mandarla in Belgio.

Una preoccupazione condivisa
La preoccupazione per la condizione materiale e psicologica dei bambini europei era condivisa sia dalla Chiesa cattolica sia dalle Nazioni Unite. In un opuscolo intitolato I bambini di oggi, la speranza di domani. La storia dei bambini nei paesi occupati, l’ONU descriveva la guerra come un attacco alla famiglia, all’educazione e al benessere dei più piccoli, e indicava nella famiglia il perno su cui ricostruire il continente.
La Chiesa cattolica, dal canto suo, non si limitò alla dimensione materiale dell’assistenza. Anche Pio XII considerava la famiglia la prima unità sociale da cui far ripartire l’Europa e riteneva fondamentale offrire ai bambini non solo cure e nutrimento, ma anche solide basi morali.
In un continente segnato dalla violenza, il rischio era quello di generazioni cresciute senza punti di riferimento, più esposte a ideologie radicali o a strategie di sopravvivenza al margine della legalità. Per la Caritas l’ideologia comunista rappresentava una minaccia alla famiglia, alla fede e alla stabilità sociale; per questo la spiritualità veniva vista come strumento di pace e riconciliazione.
L’importanza della religione
Il processo di selezione per partecipare ai soggiorni non si limitava alle sole condizioni mediche. Prevedeva anche la compilazione di un modulo che indicava l’ultimo sacramento ricevuto, la frequenza al catechismo e la parrocchia di appartenenza.
Nel 1948 alcuni giornali di sinistra denunciarono l’esclusione di un bambino gravemente malnutrito perché non aveva frequentato il catechismo. Lo scandalo spinse la Caritas a riferire al comitato ministeriale che l’esclusione era stata decisa dal paese ospitante, il Portogallo, che richiedeva espressamente la partecipazione di bambini con una formazione religiosa.
Diverse testimonianze confermano l’importanza attribuita alla dimensione spirituale durante i soggiorni. Sylvia ricordava l’obbligo della messa domenicale e del catechismo; Inge, ospitata in Belgio, frequentò una scuola all’interno di un monastero. Christine ricordava di aver consultato l’atlante per capire dove si trovasse la Spagna e di aver compreso solo anni dopo di essere stata inviata in un paese governato da Francisco Franco, che da bambina percepiva semplicemente come “molto religioso”.

Il problema Spagna
Proprio i soggiorni in Spagna alimentarono un acceso dibattito pubblico. I giornali vicini al Partito Comunista austriaco e alle forze di occupazione sovietica accusarono la Caritas di collaborare con la Spagna franchista.
Le critiche arrivarono fino al Ministero delle Politiche Sociali, che chiese chiarimenti all’associazione. La Caritas rispose che i soggiorni erano attività pastorali, organizzate “da Chiesa a Chiesa”, e senza alcun legame con la Falange. Aggiunse di aver abbandonato in passato l’idea di altri programmi simili proprio per evitare rischi di infiltrazioni politiche.
È evidente, però, che il sostegno all’infanzia non fu solo una questione umanitaria, ma anche politica. La Spagna franchista utilizzava infatti queste iniziative per accreditarsi come alleato dell’Occidente in funzione anticomunista.
La Guerra Fredda
Le attività umanitarie della prima Guerra fredda mostrano così due dinamiche parallele: da un lato l’infanzia emerge come categoria centrale nella ricostruzione dell’Europa occidentale; dall’altro le iniziative di assistenza diventano strumenti di diffusione di valori e visioni del mondo sempre più legate alla divisione del continente in due blocchi.
In questo intreccio, i Kindertransporte della Caritas Austria rappresentano un osservatorio privilegiato per capire come la solidarietà, la politica e la competizione ideologica si siano incrociate nella delicata fase della ricostruzione europea.
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