5 Dicembre 2025

Come nasce il mito del complotto ebraico: il “discorso del rabbino” nel cimitero di Praga

Nato come capitolo di un romanzo politico, riscritto, tradotto e manipolato, il “discorso del rabbino” diventò la matrice di una leggenda nera che avrebbe alimentato l’antisemitismo moderno fino alla Shoah

di Ugo Volli

La persistenza nei secoli e nei millenni dell’odio, della discriminazione e delle persecuzioni contro gli ebrei (che nel seguito di questo articolo chiamerò “anti-ebraismo”, per non cadere in sterili discussioni terminologiche su “anti-semitismo”, “anti-giudaismo”, “giudeofobia” e simili) è senza dubbio un problema storiografico significativo, come lo è la sopravvivenza quasi altrettanto lunga del piccolo popolo ebraico cacciato dalla propria terra.

Questa capacità di mantenere la propria identità comune da parte di gruppi estremamente minoritari e largamente dispersi nel mondo che hanno rifiutato di assimilarsi conservando per decine di generazioni non solo la religione, ma anche le strutture sociali e culturali, le regole giuridiche, in sostanza la loro “forma di vita”, è stata ovviamente una condizione necessaria per le discriminazioni e persecuzioni che essi hanno subìto così a lungo.

Se avessero accettato di confondersi con le popolazioni maggioritarie presso cui vivevano e con cui pure mantenevano un fitto scambio economico, culturale e sociale, sarebbero presto spariti:  non vi sarebbe traccia di loro se non nei libri di storia, com’è accaduto ai Sanni, agli Illiri, ai Fenici e a centinaia di altri popoli dell’antichità; non vi sarebbe stato allora un oggetto per le persecuzioni.  Ma è insensato pensare che questa persistenza sia la causa dell’anti-ebraismo: ciò equivarrebbe a dire che la semplice esistenza in vita di una minoranza etnica e culturale provochi e quindi in qualche modo giustifichi l’odio della maggioranza.

Bisogna sottolineare poi che non c’è stata una causa unica dell’anti-ebraismo e della sua lunga durata, a parte quell’inerzia sociale dell’immaginario collettivo che conferma e ribadisce nel tempo la distribuzione dei ruoli sociali e dei pregiudizi collettivi. Di anti-ebraismo abbiamo già traccia (registrata da parte delle vittime) all’inizio del Libro dell’Esodo con le argomentazioni di un faraone di quattro millenni e mezzo fa che motivava la persecuzione col timore di un’alleanza degli ebrei esuli coi nemici dell’Egitto; e poi nel libro di Ester da parte di un ministro persiano semplicemente perché si trattava di “un popolo distinto ma disseminato fra noi che segue le sue leggi”. Dalla parte delle maggioranze vi sono brani anti-ebraici nelle letterature ellenistiche, romana, in quelle cristiane, musulmane, illuministe, socialiste, positiviste e naturalmente nazifasciste, per non parlare dell’islamismo attuale e dei suoi sostenitori occidentali.

Ma la propaganda antiebraica, nella sua fondamentale continuità di oggetto, si presenta con motivazioni molto differenti nel tempo. All’inizio nei grandi imperi egiziano, persiano, romano, il pretesto è securitario, la ragione vera imperialistica: gli ebrei sono “misantropi” (Tacito) perché rifiutano di adeguarsi ai costumi romani.

Poi con la cristianità e quindi con l’Islam, si passa a un registro religioso, giacché gli ebrei si rifiutano di riconoscere la verità delle nuove religione maggioritarie e anzi sono accusati di “deicidio”, “perfidia” cioè infedeltà, Tradimento della loro stessa religione e soprattutto di compiere gesti sanguinosi e abominevoli per vendicarsi di esse. Segue la fase culturale in cui il popolo ebraico appare a politici e intellettuali illuministi come Kant e Voltaire “superato”, “disseccato”, “degenerato” dunque da correggere radicalmente o semplicemente da eliminare. Nell’Ottocento si affacciano il tema economico (gli ebrei come sfruttatori e “adoratori del dio denaro”, come spiega Marx), quello politico (gli ebrei aspirano al dominio del mondo) e quello razziale, che saranno tutti utilizzati per la Shoah e in parte proseguono ancora oggi.

Per seguire questa trasformazione dei temi dell’antiebraismo, che avviane soprattutto nell’Ottocento prima della Shoah, è assai utile un recente studio analitico della formazione, molto complessa e ricca di plagi e falsificazioni, del primo documento pubblico laico largamente diffuso nei canali di massa che denuncia la loro “congiura” per il “dominio del mondo”,  aprendo così la strada ai “Protocolli dei Savi di Sion” e al “Mein Kampf”.

Si tratta del “Discorso del rabbino”, un pamphlet pubblicato a puntate a partire dal luglio 1881 dalla rivista cattolica francese “Le contemporain”, in cui si mette in scena un’allocuzione che sarebbe stata svolta (e spiata e trascritta) una  notte nel cimitero di Praga da parte di un leader ebraico (il rabbino del titolo) allo scopo di dare istruzioni a delegati ebraici di tutte le provenienze su come conquistare il mondo.

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Dove nasce il cimitero di Praga

Il testo ha una forma caratteristica, che poi sarebbe stata ripresa dopo circa vent’anni nei “Protocolli”: non argomenta direttamente, ma pretende di riprodurre le parole del “rabbino” alla maniera di un verbale, ottenendo così un caratteristico effetto di credibilità e di realtà. È il meccanismo utilizzato, reso popolare e debitamente ironizzato da Umberto Eco nel suo romanzo Il cimitero di Praga (Bompiani, Milano, 2010), che prende spunto proprio da questa storia.

“Il discorso” testo ha una preistoria piuttosto lunga e complessa, come mostra lo studio molto analitico e affascinante come un giallo di Ignazio Veca, professore di Storia Contemporanea all’università di Pavia, che porta lo stesso titolo del suo oggetto (Il discorso del rabbino, Il Mulino, Bologna 2025). In sintesi il testo del pamphlet cattolico riprende largamente un volume pubblicato in Russia nel 1870, da un ebreo convertito, Jacob Brafman, sotto il titolo di Libro del Kahal (parola che significa in ebraico “comunità” e che qui si riferirebbe a un organismo di autogoverno degli ebrei nell’impero zarista).

Questo testo era già  stato pubblicato in italiano  in parte e commentato da Cesare de Michelis (La giudeofobia in Russia. Dal Libro del «Kahal» ai Protocolli dei Savi di Sion, Bollati Boringhieri, Torino, 2001) e da Alessandro Cifariello (L’ombra del “kahal”. Immaginario antisemita nella Russia dell’Ottocento, Viella, Roma 2013). Veca documenta però che anche questo libro russo ha un’origine molto precisa, il capitolo (“Al cimitero ebraico di Praga”) appartenente a un lungo romanzo politico pubblicato a Berlino nel 1868, intitolato Biarritz, a firma di un “Sir John Retcliffe”.

Veca dimostra che si tratta dello  pseudonimo di Herrmann Ottomar Friedrich Goedsche (1915-1878), giornalista e  scrittore reazionario di origina prussiana. Questo romanzo poi affonda a sua volta le radici in una serie molto fitta di narrazioni complottiste che riguardano la rivoluzione francese, i massoni, gli ebrei, largamente diffuse in ambienti conservatori e cattolici di tutt’Europa, spesso con l’impronta letteraria melodrammatica dei romanzi d’appendice di Eugéne Sue.

La diffusione

L’origine del pamphlet francese sta dunque in un  capitolo di un romanzo politico in Germania, che poi viene tradotto e pubblicato da solo in Russia, pur mantenendo almeno in parte il carattere esplicitamente narrativo, ma diventa una vera e propria “rivelazione storica” per la stampa cattolica soprattutto prima a Parigi, ma ripresa ben presto anche a Roma dall’organo ufficioso gesuita della Santa Sede, “Civiltà Cattolica” e di qui in tutti gli ambienti cattolici europei.

Tornerà in Russia fornendo il nucleo tematico dei “Protocolli” e di qui si diffonderà in tutto il mondo. Il fatto che ripetutamente il suo carattere inventato fosse stato dimostrato non ha impedito il suo successo. Lo stesso Hitler, che ne riprese i temi in “Mein Kampf” e altrove, difese la sua sostanziale verità, “anche se fosse stato inventato”

Il complotto

Quel che soprattutto ha di nuovo il Discorso, rispetto ai secoli dell’anti-ebraismo,  è il fatto che per la prima volta vi emerga fra gli altri argomenti di diffamazione degli ebrei il tema di un complotto ebraico per il dominio del mondo, che sarà poi al centro dei “Protocolli”. Gli ebrei non sono più tanto “deicidi” o “ostinatamente impermeabili alla fede” come nel mondo cattolico medievale nell’Islam. Non uccidono bambini per cibarsi del loro sangue, né spargono epidemie o avvelenano i pozzi. Ancora sono colpevoli di usura, ma questa caratteristica è citata solo marginalmente, come fonte del loro potere.

Non sono più “degenerati”,  relitti archeologici indebitamente sopravvissuti, come nell’Illuminismo e non sono ancora una “razza inferiore” da eliminare per la salute eugenetica dell’umanità, come nel nazismo (ma i prodromi di questa teoria risalgono anch’essi al tardo Ottocento). Quel che vogliono è impadronirsi del mondo e per questo intendono sovvertire tutte le istituzioni, sono pericolosi e vanno fermati a ogni costo.

Due aspetti vanno sottolineati in questo itinerario. Il primo è l’indistinzione fra racconto finzionale “esemplare” e pretesa storica: questo è un passaggio che Veca documenta accuratamente e in maniera originale, anche se era stato già intuito da altri, in particolare Umbero Eco. È alla base del “basso ostinato” delle calunnie antiebraiche che diedero la stura a secoli di sofferenze, persecuzioni, stragi e che ancora oggi si ripetono opportunamente attualizzati.  Ma queste cose non spariscono mai, al momento opportuno  ricompaiono, con variazioni minori.

Il secondo aspetto è il fatto che le diverse versioni dell’antiebraismo non si annullano a vicenda, ma si sovrappongono, si integrano, si complicano a vicenda. L’antiebraismo politico del “Discorso del rabbino” include parti di quello religioso (per esempio l’usura e una generale miscredenza) e perfino la “misantropia” di Tacito. A sua volta sarà integrato in quello razzista ad opera dello stesso Hitler.

L’antisemitismo

Il minuzioso studio di filologia narrativa compiuto da Veca e la sua acuta analisi di un caso di diffusione di una nuova “leggenda nera” degli ebrei, che oggi definiremmo transmediale, non può naturalmente spiegare l’esplosione dell’antisemitismo  (questa volta proprio con tale nome) che si verifica nella seconda metà dell’Ottocento: diffuso prima in Italia col rapimento del piccolo Mortara, poi  in Francia col caso Dreyfus, in Germania largamente dopo la caduta di Bismark e soprattutto con l’accusa di “tradimento” nella Grande Guerra; e poi in Austria, in Romania, in Croazia con movimenti politici esplicitamente antisemiti.

L’antisemitismo avrà grande spazio perfino nel movimento socialista (Michele Battini, Il socialismo degli imbecilli, Bollati Boringhieri, Torino 2010), si diffonderà nel primo dopoguerra,  per poi culminare  nella Shoah, e diffondersi ancora, soprattutto nei paesi musulmani. Ma questo libro è importante per capire come l’intreccio e la trasformazione, ma anche la continuità dei temi contribuiscano alla forza della propaganda anti-ebraica. Oggi ha di nuovo una straordinaria forza di penetrazione sotto una forma ancora parzialmente nuova, la maschera antisionista, che ripropone i vecchi temi della crudeltà, dell’avarizia, dell’uccisione dei bambini, del dominio del mondo, attribuendoli non a una comunità ebraica o a un misterioso consesso di “Savi” o “rabbini”, bensì allo Stato di Israele.

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Ugo Volli

Ugo Volli è professore onorario di Semiotica e Filosofia della Comunicazione all’Università di Torino. Ha pubblicato circa 300 pubblicazioni scientifiche e oltre 25 libri. Ha insegnato in numerose università fra cui a lungo a Bologna, IULM, Statale e Politecnico di Milano, Brown e New York University, Università di Haifa. Ha ricevuto una laurea honoris causa dalla NBU (Sofia). È membro corrispondente dell’Academia de las Artes y Ciencias de la Comunicación di Buones Aires.

I suoi campi di ricerca principali riguardano la filosofia della comunicazione, la teoria semiotica, l’analisi semiotica dei testi sacri, la comunicazione politica, l’antisemitismo, la politica del Medio Oriente. Fra i suoi libri più recenti: Il resto è interpretazione (Belforte 2019), Donne di casa Boschi (Skirà 2020), Discutere in nome del cielo (Guerini 2021), Musica sono per me le tue parole (La nave di Teseo 2022), La Shoà e le sue radici (Marcianum Press 2023), Interrogare il senso (Nomos 2024) e Ritorno a Sion (Marcianum Press 2025).

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