Approfondimenti · 8 Marzo 2025

Il mistero di Dioniso a Pompei

Una nuova sala dei banchetti è stata scoperta nella città distrutta dall'eruzione del Vesuvio del 79. Un ciclo pittorico raffigura le Baccanti e un culto ancora pieno di fascino

di Daniele Erler

Torniamo a occuparci dell’area archeologica di Pompei (ne avevamo già parlato in questo articolo) per raccontare le ultime sorprese che ci ha riservato. La notizia, annunciata poche settimane fa, riguarda la scoperta di un ciclo pittorico dedicato alle Baccanti e al culto di Dioniso

È una scoperta straordinaria, non solo perché arricchisce il repertorio iconografico pompeiano, ma anche perché getta nuova luce sui rituali misterici e sul ruolo della donna nella società romana. In questo articolo cerchiamo di capire perché, facendo insieme un piccolo viaggio virtuale a Pompei.

La grande sala dei banchetti è stata scavata nell’area centrale di Pompei, nell’insula 10 della Regio IX: è qui che è emersa la “megalografia”, un fregio monumentale che corre lungo tre lati dell’ambiente, mentre il quarto lato era aperto sul giardino.

Il fregio raffigura il corteo di Dioniso: le Baccanti sono rappresentate come danzatrici, ma anche come cacciatrici feroci, con un capretto sgozzato sulle spalle o con una spada e le interiora di un animale nelle mani. I giovani satiri, con le orecchie appuntite, suonano il doppio flauto, mentre un altro compie un sacrificio di vino (libagione) in maniera acrobatica, versando dietro le proprie spalle un getto di vino da un corno potorio (usato per bere) in una patera (coppa bassa).

Al centro della composizione spicca una figura femminile accanto a un vecchio sileno che impugna una torcia: si tratta di un’inizianda, una donna mortale che, attraverso un rituale notturno, sta per essere introdotta nei misteri di Dioniso, il dio che muore e rinasce, promettendo la stessa sorte ai suoi seguaci.

Gli archeologi hanno battezzato la dimora con il fregio “Casa del Tiaso”, con riferimento al corteo dionisiaco. Nell’antichità esistevano numerosi culti riservati esclusivamente a coloro che superavano un rito di iniziazione, come suggerisce il fregio di Pompei. Tali culti erano detti “misterici”, poiché i loro segreti erano noti solo agli iniziati.

Spesso promettevano una rinascita spirituale o un destino privilegiato nell’aldilà. Si riteneva che le Baccanti, in stato di estasi, entrassero in contatto diretto con il dio, in un modo non contemplato dalla religione “ufficiale”.

Fin dall’antica Grecia, Dioniso è stato il protagonista di feste e riti caratterizzati dall’abbondante consumo di vino e dalla trasgressione delle convenzioni sociali. Nelle rappresentazioni vascolari – proprio come in questo nuovo fregio pompeiano – il dio è circondato da figure colte nel loro stato di esaltazione estatica.

Il termine “Bacco”, che si affermerà in epoca romana, era già un epiteto greco di Dioniso. Curiosamente, anche i suoi fedeli erano chiamati “Bacchi”. È un caso unico nella religione antica, in cui solitamente si distingue nettamente tra divinità e mortali. Ma nel culto di Dioniso, le regole erano spesso sovvertite.

La religione dionisiaca è difficile da ricostruire perché le informazioni sui culti misterici sono frammentarie. Possediamo indizi letterari e mitologici, ma i miti tendono a esagerare la realtà anziché descriverla fedelmente. Tuttavia, il culto rifletteva gli aspetti più radicali della vita collettiva nelle città antiche, i suoi eccessi e la sua trasgressione. Nella cultura greca e poi latina, esistevano regole precise, ma anche momenti e spazi destinati alla loro sospensione.

Tornando a Pompei, questa scoperta introduce un elemento inedito nell’iconografia del culto dionisiaco in città: la caccia come rito di passaggio. Se nella celebre Villa dei Misteri l’attenzione era rivolta all’iniziazione erotico-mistica, qui l’elemento predatorio sembra simboleggiare un’altra dimensione della devozione dionisiaca.

Le Baccanti, anziché semplici danzatrici ispirate dal dio del vino, assumono il ruolo di predatrici, creature al confine tra civiltà e natura selvaggia. Questo dettaglio rafforza l’idea che Dioniso, più di ogni altra divinità del pantheon greco-romano, rappresentasse l’energia incontrollabile e il superamento dei limiti imposti dalla società.

Il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, ha sottolineato come il ruolo delle Baccanti nell’arte romana fosse spesso ambivalente: da un lato, incarnazioni di un desiderio di libertà femminile; dall’altro, spauracchio per una società fondata sul controllo della donna.

Questa doppia lettura emerge chiaramente nel fregio: le Baccanti non sono solo sacerdotesse devote, ma anche simboli di una femminilità pericolosa e indomabile, in contrasto con la classica immagine romana della matrona, devota alla famiglia e alla casa.

L’indagine su questi affreschi è ancora in corso, e gli archeologi sperano di trovare ulteriori indizi sulla funzione originaria della sala e sulle persone che la frequentavano.

Ciò che è certo è che Pompei continua a stupire, dimostrando che sotto la cenere del Vesuvio si nascondono ancora pagine inesplorate della nostra storia.

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Daniele Erler

Laureato in storia all’Università di Trento, con una specializzazione all’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino. È giornalista professionista, ha collaborato con la Stampa e con il Fatto Quotidiano, fra gli altri. Dal 2020 al 2024 è stato caposervizio al quotidiano Domani, dove si è occupato in particolare di giornalismo digitale e nuovi media. Dal 2024 coordina i contenuti editoriali del Circolo della Storia.

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