Approfondimenti · 13 Settembre 2025
Pio XII e la Shoah: un mosaico di silenzi
Dal nuovo libro di Giovanni Coco emerge una lettura sfaccettata delle reticenze di papa Pacelli: prudenza diplomatica, timori di ritorsioni, radici dell’antigiudaismo cristiano e le difficoltà di fronteggiare una tragedia senza precedenti
L’aggressività e la spietatezza del nazionalsocialismo hitleriano colsero di sorpresa tutti. A cominciare dalla tradizionale classe dirigente tedesca, casta militare compresa, che sperava di tenere sotto controllo il Führer, considerato niente più che un rozzo tribuno, e invece fu in pochi anni esautorata dal nuovo potere totalitario.
Accadde lo stesso ai governi della Francia e della Gran Bretagna, che ritenevano di doversi confrontare con un interlocutore ostico, ma rispettoso delle più elementari regole diplomatiche, e invece dovettero constatare, dopo l’ingresso delle forze germaniche a Praga nel marzo 1939, l’assoluta inaffidabilità di un regime che non poneva limiti alle sue mire espansionistiche.
Fu preso alla sprovvista perfino Iosif Stalin, che certo non coltivava soverchie illusioni sul Terzo Reich, ma non si aspettava un massiccio attacco a tradimento come quello effettuato dalla Wehrmacht il 22 giugno 1941.
Tenere conto di questo fattore, cioè l’irruzione di una novità sconvolgente, è indispensabile per vederci chiaro nella tanto dibattuta questione riguardante l’atteggiamento del papa Pio XII durante la Seconda guerra mondiale, in particolare di fronte allo sterminio degli ebrei d’Europa, che di tale novità fu l’aspetto più tremendo.
Un indubbio passo avanti è costituto a tal proposito dal libro di Giovanni Coco Un mosaico di silenzi (Mondadori, pagine 396, euro 25), sorretto da una vasta conoscenza delle carte, grazie anche all’apertura degli archivi per il periodo del pontificato di Eugenio Pacelli, e dotato di un impianto interpretativo convincente.
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Già il titolo del volume ci dice che l’autore, addetto dell’Archivio Apostolico Vaticano, ritiene limitativo considerare la reticenza del pontefice sulla Shoah un fenomeno unitario. Bisogna invece distinguere diverse fasi e motivazioni.
All’inizio della guerra prevale la preoccupazione della Chiesa cattolica di mantenere il consueto comportamento imparziale dinanzi ai conflitti bellici, che Benedetto XV, noto per aver coniato l’efficace espressione «inutile strage», aveva rigorosamente osservato durante la precedente guerra mondiale. Si spiega così la sordità iniziale del Vaticano anche rispetto agli appelli provenienti dalla Polonia, nazione fedelissima a Roma sul piano religioso che Adolf Hitler aveva brutalmente aggredito.
In seguito, quando giungono alla Santa Sede notizie sempre più numerose e degne di fede sulle atrocità del Terzo Reich, in particolare contro la popolazione ebraica, Pio XII si decide a deplorare, nel messaggio natalizio del 1942, il fatto che centinaia di migliaia di persone, «solo per ragioni di nazionalità e di stirpe», siano «destinate alla morte o ad un progressivo deperimento».
L’allusione a quanto accadeva nei lager nazisti era facilmente decifrabile per chi conoscesse la situazione nei territori occupati dai tedeschi, ma non per un’opinione pubblica che della Shoah era all’oscuro. Lo stesso può dirsi per il riferimento a «costrizioni sterminatrici» contenuto in un discorso papale del 2 giugno 1943.

Qui, oltre all’assillo di non schierarsi, entrano in gioco altri due elementi di notevole rilievo. Uno è il timore di suscitare reazioni controproducenti, tenendo conto che, come al Vaticano era ben noto, sulla questione razziale il regime di Hitler non intendeva in alcun modo transigere: si pensò che il silenzio potesse favorire un’opera di soccorso della Chiesa e delle sue ramificazioni a favore dei perseguitati, un’azione che uno scontro aperto con il potere nazionalsocialista avrebbe senza dubbio reso più ardua.
Non bisogna dimenticare che la Germania aveva concluso un concordato con la Santa Sede, negoziato proprio da Pacelli quando era segretario di Stato del precedente pontefice Pio XI, ma non esitava a violarlo spesso e volentieri, quindi aveva un fondamento la paura di esporre i cattolici ad ulteriori rischi.
Il secondo punto da considerare è la secolare inimicizia tra cristiani e israeliti, accentuata dopo la Rivoluzione francese dall’idea che gli ebrei avessero avuto un ruolo primario nei sommovimenti che avevano destabilizzato l’alleanza fra trono e altare, nei processi di secolarizzazione, nella nascita di uno Stato fieramente ateo come l’Unione Sovietica.
Il forte radicamento di tale diffidenza profonda, come osserva Coco, si riscontra per esempio nei suggerimenti di un personaggio influente della Curia pontificia come monsignor Angelo Dell’Acqua, futuro cardinale, che in più occasioni sottolinea il presunto vittimismo degli ebrei, mettendo in dubbio l’effettiva portata delle persecuzioni alle quali erano sottoposti.
Dal settembre 1943 subentra poi una novità di enorme impatto, l’occupazione tedesca dell’Italia centro-settentrionale, che espone direttamente il Vaticano e il papa a possibili ritorsioni.
Per quanto si possa ritenere improbabile che Hitler volesse davvero prendere in ostaggio Pio XII, l’eventualità non poteva essere esclusa, tanto più che già Napoleone Bonaparte in passato aveva fatto prigionieri due pontefici.
Era ovvio che una situazione del genere inducesse a raddoppiare la cautela, anche di fronte a un evento terribile come il rastrellamento del ghetto di Roma, avvenuto il 16 ottobre 1943, in seguito al quale la Santa Sede chiede chiarimenti e interviene in forma riservata, con il segretario di Stato cardinale Luigi Maglione, ma sul quale preferisce tacere.
Nel frattempo peraltro conventi e istituzioni ecclesiastiche offrivano generosamente rifugio agli ebrei e ad altri ricercati, anche se, come rimarca Coco, è da escludere che il papa, pur consapevole di quanto avveniva, abbia mai impartito un ordine scritto in tal senso.

Foto Alfred Reuben Tanner, Public domain
Ciò che colpisce di più, tuttavia, è quanto accade dopo la liberazione di Roma da parte degli anglo-americani, nel giugno 1944.
A quel punto la minaccia del Terzo Reich è ormai lontana, quindi Pio XII potrebbe esprimersi liberamente sugli orrori che si andavano consumando dei campi di sterminio. Eppure il silenzio permane, si preferisce lasciare che intervengano magari gli episcopati locali.
Forse papa Pacelli vuole evitare che lo si possa accusare di infierire sui vinti, certamente vi è in lui una sollecitudine di fondo verso il popolo tedesco, che ben conosceva per gli incarichi diplomatici ricoperti in Germania, nel momento in cui su di esso stavano ricadendo le conseguenze funeste della guerra scatenata da Hitler. Influisce inevitabilmente anche l’apprensione determinata dal dilagare dell’Armata rossa, quindi del comunismo ateo, nel cuore dell’Europa.
Poi non va trascurata, nel periodo successivo alla conclusione delle ostilità, la ben scarsa simpatia con cui il Vaticano osserva i prodromi della nascita dello Stato d’Israele. L’impresa sionista altera gli equilibri demografici in Terra Santa ad ulteriore svantaggio dei cristiani, già minoranza rispetto ai musulmani, e indebolisce le speranze della Chiesa cattolica di avere una maggiore voce in capitolo là dove si è svolta la predicazione di Gesù.
In Vaticano si teme che una dichiarazione di solenne condanna della Shoah possa suonare come un avallo alla costruzione dello Stato ebraico, la cui necessità ha trovato senza dubbio nel genocidio compiuto dai nazisti una tragica conferma. Per tutte queste ragioni risulta quindi improprio parlare di silenzio al singolare per quanto riguarda la posizione di papa Pacelli.
C’è una grande molteplicità di ragioni alle origini della sua scelta di tacere, sulla quale egli stesso peraltro manifesta dubbi lancinanti. Lungi dall’essere il pastore freddo e ieratico dell’immagine più comune che ci è stata tramandata, Pio XII appare nella ricostruzione di Coco un’anima tormentata, che subisce il trauma di doversi confrontare con un potere totalitario genocida e non dispone degli strumenti adatti per misurarsi con una tragedia senza precedenti, anche perché pesa su di lui l’onda lunga dell’antigiudaismo cristiano.
Toccherà al suo successore, Giovanni XXIII, inaugurare una pagina nuova nei rapporti tra la Chiesa e gli ebrei.
Giovanni Coco, archivista all’Archivio Apostolico Vaticano, svolge attività di ricerca storica e si occupa in particolare delle relazioni tra Chiesa e Stato nel XX secolo. Autore di numerosi saggi e articoli, ha scritto anche Il Labirinto romano (2019) e ha curato l’edizione di Le “Carte” di Pio XII oltre il mito (2023).
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