Approfondimenti · 20 Settembre 2025

Una storia del Sud oltre la “questione meridionale”: sette snodi per capire il Mezzogiorno

Nel suo nuovo libro, Pino Ippolito Arminio ripercorre tre secoli di vicende dell’Italia meridionale, dalle riforme borboniche alle sfide contemporanee, ricostruendo cause, passaggi critici e intrecci con il resto del Paese senza ridurli a un semplice divario Nord-Sud

di Vittorio Coco

Nel corso della storia d’Italia si è spesso fatta coincidere l’analisi e l’approfondimento sul Mezzogiorno con la cosiddetta «questione meridionale».

La discussione pubblica sul divario tra un Nord e un Sud del paese ha cioè finito per lasciare in secondo piano qualunque altro tipo di riflessione, come se il mancato allineamento delle regioni meridionali a un modello costruito su quelle settentrionali bastasse a esaurire ogni riflessione.

Ad alimentare la «questione meridionale», come appare evidente fin dalla sua prima elaborazione negli anni Settanta dell’Ottocento, sono state nel corso del tempo molteplici ragioni di natura politica, sociale ed economica. In fondo ha pesato anche l’attrazione di uno schema dualistico: dividere il Paese in Nord e Sud sembrava rendere più leggibile una realtà che era invece molto più articolata.

Per quanto riguarda il versante storiografico, il filone di studi che più ha tentato di liberarsi da questo schema è stato quello sviluppatosi attorno all’Istituto meridionale di storia e scienze sociali e alla rivista «Meridiana» a partire dagli anni Ottanta del Novecento.

Non si è trattato di un revisionismo nel senso negativo del termine, volto semplicemente a ribaltare il ragionamento, all’insegna di un nuovo meridionalismo rivendicazionista. È stato piuttosto il tentativo di restituire complessità ad un discorso sul Mezzogiorno, cercando di coglierne le differenze interne e di comprendere i modi e i tempi con cui anch’esso partecipò ai processi di modernizzazione che hanno caratterizzato l’età contemporanea. 

Mi pare che il recente volume Storia dell’Italia meridionale (Laterza, Roma-Bari, 2025) di Pino Ippolito Arminio, si inserisca nel solco della strada tracciata da questa linea interpretativa.

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Partendo dal presupposto che si possono effettivamente riscontrare delle differenze tra le due parti del paese, l’obiettivo che si pone l’autore è quello di indagare le ragioni storiche che hanno determinato tale situazione. Non per comporre un catalogo dei «ritardi» accumulati nel corso del tempo dalle regioni meridionali, ma per ricostruire con puntualità fatti e circostanze.

La sua va dunque considerata a tutti gli effetti una storia del Mezzogiorno, che presta però una particolare attenzione al rapporto che di volta in volta si è determinato con le altre parti del Paese e specialmente con quella settentrionale, stando però sempre ben attento a non considerare anche quella come un blocco unitario.

L’albero della libertà, eretto durante la repubblica, è abbattuto dai sanfedisti, dopo la caduta della Repubblica Partenopea. Il quadro, del 1800, è di Saverio della Gatta e si intitola La distruzione dell’albero della libertà a Largo di Palazzo (Piazza del Plebiscito)

Sette «passaggi chiave»

D’altra parte nel volume si inizia la ricostruzione ben prima della nascita del Regno d’Italia nel 1861. Arminio decide infatti di risalire indietro nel tempo fino ai primi decenni del Settecento, che sono quelli in cui la parte meridionale della penisola tornò sotto un’unica corona, quella di Carlo di Borbone, re di Napoli e di Sicilia (1734-35). Tra l’altro, fu proprio in quella stessa congiuntura che anche la Sardegna confluì definitivamente nella storia d’Italia, venendo affidata a Vittorio Amedeo II di Savoia (1720). A partire da questo momento l’autore individua alcuni passaggi chiave – sette in tutto – che «hanno plasmato l’identità del Mezzogiorno e condizionato negativamente il suo sviluppo» (p. X).

Il primo di essi è il fallimento della rivoluzione napoletana del 1799 e delle possibilità di radicale rinnovamento che avrebbe potuto aprire.

Ad essa si aggiunge la sconfitta di Gioacchino Murat per mano degli austriaci nel 1815 che, al di là delle ambizioni personalistiche a cui certo pure rispondeva, «privava il Mezzogiorno della prima, concreta possibilità di porsi alla testa del Risorgimento nazionale» (p. 52).

Un secondo momento decisivo che segnò il destino del Sud della penisola, secondo l’autore, furono le scelte reazionarie compiute dalla monarchia borbonica dopo il 1848, che ebbero un’influenza negativa in vari ambiti, non ultimo l’arresto di un certo sviluppo economico avviatosi nei decenni precedenti.

Questo aspetto si pone in stridente contrasto con la svolta costituzionale intrapresa in quegli stessi anni dal Regno di Sardegna, all’interno del quale fu invece realizzato un vasto programma di riforme. Dunque – come rileva Arminio – «all’appuntamento unitario si incontrarono due nazioni, l’una in piena ascesa, l’altra in crescenti difficoltà e minata da disgregazione interna» (p. 131).

Viaggiatori assaliti dai briganti, acquerello di Bartolomeo Pinelli (1817)

Ciò fece della monarchia sabauda il centro del processo di unificazione e determinò la vittoria della linea moderata di Cavour. Proprio qui Arminio ritiene che possa essere individuato un terzo momento «critico».

In primo luogo esemplificato dalla resa dei conti del conflitto di lunga durata tra liberali e borbonici iniziato fin dal 1820, che culminò nella repressione del cosiddetto «grande brigantaggio» (1861-1865). A cui si aggiunse quello – tutto interno al fronte patriottico – tra la componente moderata e quella democratica, che vedeva nella Sicilia una sua roccaforte e si raccoglieva attorno alla figura di Garibaldi.

Nei decenni successivi all’unificazione, gli effetti negativi dell’accentramento furono per una lunga fase compensati dalle scelte liberiste in politica economica, che favorirono l’esportazione dei prodotti dell’agricoltura meridionale.

Poi però il protezionismo della fine del secolo – ed è qui che l’autore colloca il quarto punto – rappresentò una netta inversione di tendenza. Neppure il piano di interventi per il Mezzogiorno elaborato in età giolittiana poté impedire che si allargasse in maniera netta la forbice con alcune delle regioni settentrionali, che intanto nel cosiddetto «triangolo» stavano vivendo una fase di decisa industrializzazione.

Una situazione che si definì ancora più nettamente negli anni della dittatura fascista – è questo il quinto passaggio – soprattutto nel periodo successivo alla crisi del 1929, con la bonifica integrale, la creazione dell’Iri e la riforma bancaria del 1936.

Mappa del XIX secolo del Regno delle Due Sicilie

L’ultima parte del libro di Arminio è dedicata all’età repubblicana, nella quale vide la luce il disegno più organico che ha riguardato il Sud nella storia d’Italia, la Cassa per il Mezzogiorno, istituita nel 1950.

Come sottolinea l’autore, «nel giro di 20 anni venne attuato un piano di interventi che trasformò radicalmente il Mezzogiorno» (p. 239). Tuttavia, considerata la sua lunga durata e la varietà degli interventi sarebbe difficile darne una valutazione complessiva.

Tra l’altro vanno anche considerati alcuni effetti «perversi», tra cui «i frutti malati della contaminazione ambientale» (p. 246) per via dell’impianto di numerosi stabilimenti industriali e, sotto l’aspetto più generale, il fatto che l’insieme degli interventi «non è riuscito a scalfire la storica dipendenza e subalternità del Mezzogiorno rispetto alle aree più forti del Centro-Nord» (Ivi).

È questa che viene individuata come la sesta tappa del percorso, alla quale l’autore aggiunge, nell’ambito del trionfo dell’ideologia neo-liberista degli ultimi decenni, il generale esaurimento dell’interesse per il Mezzogiorno, a cui le più recenti riforme – tra cui quella del Titolo V della Costituzione sulle autonomie differenziate – non sembrano potere (e forse in alcuni casi volere) porre rimedio.

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Vittorio Coco

È ricercatore di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Palermo. Si è occupato di storia della mafia, del fascismo e, di storia delle polizie. È autore di La mafia dei giardini. Storia delle cosche della Piana dei Colli (2013), Polizie speciali. Dal fascismo alla repubblica (2017) e Il generale dalla Chiesa, il terrorismo, la mafia (2022), tutti pubblicati da Laterza. Con quest’ultimo ha vinto il premio Friuli Storia (X edizione, 2023).

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