Approfondimenti · 21 Settembre 2024
L’autostrada che cambiò gli italiani
Pausa pranzo per gli operai in un cantiere dell'Autosole nel 1960
Sessant’anni fa l’Autostrada del Sole cambiò il volto del Paese: non solo un’opera ingegneristica senza precedenti, ma un simbolo del boom economico che trasformò la mobilità, il turismo e persino i costumi degli italiani
Sessant’anni fa, il 4 ottobre del 1964, venne inaugurata la più importante infrastruttura italiana del Dopoguerra: l’Autostrada del Sole, che ancora oggi attraversa l’Italia e collega Napoli a Milano. Per la cerimonia venne scelto un giorno simbolico: era la ricorrenza di San Francesco, patrono d’Italia. L’opera di 755 chilometri doveva infatti unire il nord con il sud e diventare un nuovo simbolo dell’unità nazionale. Il taglio del nastro, alla presenza del presidente del Consiglio Aldo Moro, venne trasmesso in diretta televisiva nazionale.
In realtà, quest’opera non poteva risolvere da sola tutti i problemi storici. Rese anzi più evidenti le differenze territoriali, soprattutto per quelle zone – come la Basilicata, la Calabria e la Sicilia – che restavano escluse dal tracciato. Nonostante questo, l’Autostrada del Sole divenne uno degli esempi del boom economico e di un’Italia finalmente uscita dalla guerra e dalle sue conseguenze. I lavori erano stati fatti in tempi record, in appena otto anni e senza gli scandali che caratterizzarono invece la costruzione di altre opere.

L’inizio
Il sogno dell’Autostrada del Sole era iniziato nel 1954, quando quattro protagonisti dell’industria italiana – Eni, Fiat, Pirelli e Italcementi – diedero vita alla Sisi, la Sviluppo iniziative stradali italiane spa. Come spiega Enrico Menduni nel libro L’autostrada del sole (Il Mulino), era «una società di studi (oggi si direbbe di engineering, ma anche di lobbying) che predispose un progetto di massima per un’autostrada Milano-Bologna-Firenze-Roma-Napoli e un’ipotesi finanziaria basata sulla riscossione dei pedaggi».
«Il progetto fu donato allo Stato e il ministro dei Lavori pubblici Giuseppe Romita, socialdemocratico, si impegnò a far approvare dal Parlamento un piano autostradale. Il concetto era semplice: lo Stato garantiva la realizzazione della nuova infrastruttura con una propria società e aveva un ruolo importante nella commercializzazione dei carburanti; l’industria privata pensava alla vendita delle automobili».
Un cantiere velocissimo
La costruzione dell’autostrada venne affidata all’Iri e a una società appositamente costituita, la Società Concessioni e Costruzioni Autostrade Spa. La posa della prima pietra venne festeggiata, nel milanese, il 19 maggio del 1956, alla presenza del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, che arrivò in treno e dormì nella casa della sorella.
«I lavori dell’autostrada, divisi in lotti e aggiudicati a varie imprese, procedettero molto spediti», scrive Menduni. «Contrariamente alle tradizioni burocratiche delle opere pubbliche italiane, la progettazione esecutiva era molto elastica e si avvaleva largamente di professionisti e tecnici dei luoghi attraversati, anche per attutire l’impatto della nuova opera e allargare il consenso attorno ad essa».

Cambiare la mentalità
L’autostrada nacque dunque per un motivo economico e per una richiesta di innovazione che proveniva dall’industria italiana. Si collegò però a un aumento del tempo libero e del reddito degli italiani, che scoprirono così la possibilità di viaggiare e di raggiungere i luoghi di villeggiatura. In altre parole, così per gli italiani cambiò anche il concetto di vacanza.
Più in generale, una nuova generazione di italiani scopriva la possibilità di avere un’auto e di uscire dai confini stretti della propria provincia, entrando in contatto con persone di altre città o lavorando lontano da casa. Negli stessi anni, anche la televisione contribuì, dal punto di vista linguistico, alla creazione di un nuovo “tipo di italiano”, con un modo di parlare sempre più unificato e sempre meno differenziato nei dialetti. L’autostrada si inserì questo contesto, favorendo il mescolamento fra persone di provenienza diversa. Contribuì a cambiare le prospettive di vita degli italiani e di conseguenza anche i loro costumi.
«Il luogo che mi ha cambiato la vita è stato l’Autostrada del Sole, addirittura prima che fosse inaugurata», ha scritto quest’estate Pierluigi Battista, in un articolo pubblicato dal Foglio. «Era, per un ragazzino nato nel 1955 in epoca immediatamente pre-boom, il miraggio di un’Italia percorribile con la macchina in tempi che non fossero disumani. Era il futuribile che stava per diventare presente».
«Il sogno di un viaggio da Roma al Trentino che non durasse due interi giorni (e due notti in alberghi di fortuna) stipati in una Fiat Bianchina (“Panoramica”, leggermente più spaziosa di quella di Fantozzi), con sopra montagne di bagagli e di bauli tenuti insieme da appositi ganci elasticizzati, che nel nostro lessico famigliare, non saprei altrove, venivano chiamati, per la loro conformazione ed estrema estensibilità, “ragni”».

L’Italia degli Autogrill
Grazie sopratutto all’Autostrada del Sole, l’Italia divenne anche il paese delle aree di servizio. La prima risaliva ancora al 1947, quando il futuro cavaliere del lavoro Mario Pavesi, imprenditore del ramo dolciario a Novara e inventore dei biscotti “Pavesini”, aprì uno spaccio di biscotti al casello di Novara dell’autostrada Milano-Torino. Già nel 1952 si trasformò in un locale pubblico con bar e ristorante, ai bordi dell’autostrada. Venne chiamato «Autogrill Pavesi».
La nuova autostrada era già costellata da aree di servizio, già previste nel progetto originale. Se le contendevano le principali società petrolifere, a partire dall’Agip del gruppo Eni. C’erano poi le grandi industrie dolciarie, come la Motta, l’Alemagna e la stessa Pavesi. Ogni autogrill cercava di soddisfare due esigenze: quella di sacralizzare il rito della sosta e quella di trasformarlo in un’occasione di marketing e consumo.
«Nel 1959 – scrive Menduni – il pranzo tipo in autogrill costava 750 lire e comprendeva, testualmente: consommé, roastbeef o pollo alla griglia con patate chips, burro, formaggio e crackers-soda Pavesi, dolce con Pavesini. Appositi cartelli avvertivano, forse per giustificarsi dell’assenza del pane e della pasta asciutta, che le tabelle dietetiche erano razionalmente calcolate per le esigenze della guida».
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