Approfondimenti · 14 Dicembre 2024

L’inverno 1985 e la nevicata del secolo

In un inverno particolarmente freddo, il Paese rimase bloccato per una nevicata straordinaria. Ma la memoria di quei giorni, mitizzata attraverso un velo di nostalgia, rischia di nascondere il contesto di quello che stava accadendo in Italia negli stessi anni

di Daniele Erler

L’inverno di trent’anni fa, fra il 1984 e il 1985, è passato alla storia per il grande freddo. All’inizio di dicembre a dire il vero le temperature erano state più miti del solito, per effetto dell’alta pressione che dai Balcani si estendeva a tutta l’Europa occidentale. Sull’Italia del nord sembrava fosse comparsa con largo anticipo la primavera: un’illusione destinata però a infrangersi con la fine dell’anno e l’arrivo del grande gelo.

Il 1985 si era aperto in Italia con il discorso del presidente della Repubblica, Sandro Pertini: «Entro nelle vostre case con l’animo pieno di tristezza e di angoscia», aveva detto.

A pochi giorni dal Natale, il 23 dicembre del 1984, una violentissima esplosione aveva fatto saltare in aria una vettura del Rapido 904, il treno partito da Napoli e diretto a Milano: ci furono 17 morti e 267 feriti. Era una sorta di tragica imitazione – questa volta di matrice mafiosa – di un altro attentato, quello dell’Italicus del 1974. Ma anche l’anticipo di una stagione fatta di altre stragi mafiose, destinate a segnare con il sangue gli anni successivi.

La nevicata del secolo

La “nevicata del secolo” arrivò nella prima parte dell’anno. Alla fine del 1984, l’improvviso e anomalo riscaldamento della stratosfera portò a una modifica delle temperature anche dell’aria nel nord Europa. Il congiungimento dell’anticiclone delle Azzorre con quello polare portò alla rapidissima discesa di aria artica marittima verso il centro e il sud dell’Europa. Poco dopo, l’ondata di gelo, proveniente dal mar Glaciale artico, raggiunse con grande velocità il mar Mediterraneo.

Le precipitazioni furono causate dalla depressione centrata sul mar di Corsica. Le temperature crollarono e la neve iniziò a scendere prima nel sud e centro Italia, nei primissimi giorni dell’anno, e poi nel nord. Gli aeroporti furono costretti ad annullare gran parte dei voli e i treni accumularono ritardi fino a 15 ore, quando non furono soppressi. Le temperature scesero di molto sotto lo zero: a Bologna di 22, ad Arezzo di 17 e a Roma di 11 gradi. Temperature polari furono registrate anche nel nord est e in particolare nel Friuli Venezia Giulia, dove a Trieste al gelo si aggiunse anche la Bora.

Fra il 13 e il 17 gennaio del 1985 un po’ tutto il nord venne investito dalle precipitazioni. Molte famiglie conservano ancora, incollate nei vecchi album di fotografie, le testimonianze della straordinaria nevicata, che all’improvviso aveva cambiato l’aspetto delle città, tingendo di bianco le strade, le piazze e i tetti.

Trent’anni dopo

A trent’anni di distanza un libro pubblicato dal Mulino, scritto da Arnaldo Greco e Pasquale Palmieri, si occupa proprio di questi temi: si intitola semplicemente La nevicata del secolo. L’Italia nel 1985. Ed è appunto il racconto di come questo inverno così rigido abbia generato «una poderosa macchina del ricordo, diventando fonte d’ispirazione per romanzi, opere teatrali, canzoni e opere fotografiche».

Paradossalmente, la neve aveva però avuto anche un altro effetto: era stata capace – sostengono gli autori – di nascondere nella memoria le difficoltà che l’Italia stava attraversando in quegli stessi anni: «la corruzione, il terrorismo, la crisi economica e la disoccupazione». In un certo senso, «il passato è stato frammentato, con alcune memorie che si sono conservate mentre altre sono sprofondate nell’oblio».

Il racconto della grande nevicata del 1985 diventa così anche uno specchio per capire come funziona la memoria collettiva, quando cerca di ridurre tutto quanto a immagini che rischiano di sbiadire o persino cancellarsi nell’oblio.

Un Paese bloccato

Ma nel libro c’è anche grande spazio per il racconto di quei giorni, a partire dalle difficoltà molto pratiche di un Paese che si trova all’improvviso isolato. «Le conseguenze più gravi del clima polare si abbattono sul sistema dei trasporti», scrivono Greco e Palmieri. «Gli snodi ferroviari più importanti del paese sono bloccati dal ghiaccio».

«Il blocco dei trasporti spacca il paese in quattro parti. La Pianura Padana è separata dal Mezzogiorno, mentre il Tirreno ha perso qualsiasi collegamento con l’Adriatico». «Le corse cancellate sono tantissime e la situazione non è più confortante negli aeroporti o sulle autostrade. Nelle aree di sosta si affollano tante persone impegnate a raccogliere notizie sulla percorribilità delle principali arterie».

Gli anni Ottanta

Ma la neve può assumere anche un significato simbolico. «Puntando lo sguardo verso la neve che copre il paese nel gennaio del 1985», scrivono i due autori, «gli italiani trovano l’immagine riflessa delle loro paure, dei loro sogni, delle loro ambizioni, ma anche delle lacerazione che attraversano il corpo sociale».

«Nel suo singolare percorso dal Sud verso il Nord, il grande freddo riesce a scuotere un’opinione pubblica confusa, quasi stordita, impegnata a trovare formule utili per definire il suo rapporto col mondo moderno, ancora incapace di comprendere le profonde trasformazioni in corso».

Sono anni in cui il costo della vita «si impenna con grande velocità». «I prezzi dell’energia e dei carburanti sono in costante aumento. Pochi cittadini riescono a trarre beneficio dalla generale espansione della ricchezza, mentre una fetta sempre più ampia della popolazione vive in situazione di ristrettezza, soprattutto nelle regioni meridionali».

«La mancanza di lavoro assume proporzioni rilevanti fra i giovani, che fanno sempre più fatica a rendersi autonomi dalle famiglie. Il disorientamento delle nuove generazioni trova un tragico approdo nella dipendenza dall’eroina, che miete un numero sempre più consistente di vittime (…)».

«In buona sostanza ci sarebbero elementi sufficienti per coltivare apprensioni sui destini dell’umanità, ma a prevalere è un’atmosfera da belle époque trainata dalla moda, dalla televisione e dalla pubblicità. L’industria del tempo libero viaggia a vele spiegate verso fatturati da capogiro. Anche le persone che vivono ai margini coltivano sogni di affermazione personale e compiono scelte di vita radicali: si allontanano dai contesti di provenienza, considerano il denaro e i beni materiali come le uniche misure concrete dei successi da conseguire».

Mito e nostalgia

Sono le contraddizioni degli anni Ottanta, che poi avranno grandi conseguenze nei decenni successivi (e per le generazioni che arriveranno poi). L’intuizione dei due autori è di leggere tutti questi cambiamenti attraverso il dibattito che si sviluppa, soprattutto sui giornali dell’epoca, nei giorni della grande nevicata.

In sostanza, non raccontare solo la neve, ma anche – e soprattutto – il Paese che ci stava sotto, con le sue contraddizioni, i cambiamenti in atto, tutto ciò che ormai è già diventato parte della nostra storia. E che spesso rischiamo di rileggere con gli occhi del mito e della nostalgia.

«La “nevicata del secolo” ci impone di confrontarci con livelli multipli di nostalgia, connessi a complesse stratificazioni culturali, sociali, economiche e tecnologiche», scrivono i due autori. «Nel rievocare il manto bianco che copre l’Italia nel gennaio 1985, scopriamo di essere nostalgici di un’epoca nostalgica. Ci culliamo nel ricordo di un mondo che sentiva a sua volta il bisogno di mitizzare il passato».

«Siamo costretti a decostruire un paradigma idealizzante, che si manifesta davanti ai nostri occhi con una forza sorprendente, in un groviglio inestricabile di emozioni. Vorremmo comprendere a fondo cosa accadde nei giorni del grande freddo, ma finiamo per confrontarci con una macchina della rievocazione che mette tutti i frammenti narrativi in ordine, inserendoli in un disegno coerente, lineare, capace di lasciare nell’ombra qualsiasi contraddizione».

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Daniele Erler

Laureato in storia all’Università di Trento, con una specializzazione all’Istituto per la formazione al giornalismo di Urbino. È giornalista professionista, ha collaborato con la Stampa e con il Fatto Quotidiano, fra gli altri. Dal 2020 al 2024 è stato caposervizio al quotidiano Domani, dove si è occupato in particolare di giornalismo digitale e nuovi media. Dal 2024 coordina i contenuti editoriali del Circolo della Storia.

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