Rassegna Stampa · 20 Ottobre 2025

Ricostruire la dignità di Domiziano

da "Domiziano, belva! La memoria abolita" di Paolo Mieli, Corriere della Sera, 20 ottobre 2025

Paolo Mieli ha presentato in anteprima sul Corriere della Sera il nuovo saggio di Umberto Roberto (in uscita per Salerno Editrice), che rilegge criticamente la figura dell’ultimo dei Flavi. Domiziano, denigrato dalle fonti classiche (Plinio il Giovane, Tacito, Svetonio, Cassio Dione) come immanissima belua, sarebbe stato vittima, sostiene Roberto, di una operazione politica postuma: una narrazione “tendenziosa e manipolata” costruita dopo l’assassinio del 96 d.C. per marcare la cesura col nuovo regime e legittimare Nerva e soprattutto Traiano.

Il libro ricostruisce le congiure degli anni Ottanta e l’omicidio sul Palatino (18 settembre 96), con l’aneddoto della tavoletta di tiglio sottratta e mostrata a Domizia che avrebbe innescato la cospirazione. Pur riconoscendo gli eccessi repressivi degli ultimi anni, Roberto invita a “scrostare” la patina diffamatoria: la transizione a Nerva fu un capolavoro politico senza guerre civili; Domizia Longina conservò il titolo di Augusta; la versione del popolo indifferente è contestata dall’autore, che registra favori diffusi al principe sino alla morte.

Centrale l’analisi di damnatio memoriae e abolitio memoriae: Domiziano è il primo colpito da un provvedimento così esteso, ma il suo impatto fu disomogeneo. A Roma cancellazioni limitate (escluse le epigrafi private e, emblematicamente, l’obelisco di Iside in caratteri geroglifici), percentuali più alte in provincia per lo zelo dei nuovi governatori. I Fratelli Arvali non cancellarono il suo nome, segno che anche in élite senatoriali non tutti condividevano la condanna totale. Molte statue furono distrutte, altre rilavorate con le fattezze di Nerva.

Roberto documenta resistenze alla damnatio, specie in ambito militare: veterani e ufficiali (tra cui Tiberio Claudio Massimo, eroe delle guerre daciche) rifiutarono di espungere il servizio prestato sotto Domiziano, giudicandolo parte integrante dei successi poi celebrati da Traiano. Tra i contemporanei, ci furono atteggiamenti diversi: Frontino espresse un giudizio positivo; Silio Italico non partecipò all’ingresso di Traiano, gesto letto come fedeltà al sovrano defunto. Non passò inosservata l’appropriazione traianea di progetti monumentali concepiti in età domizianea (a partire dal grande foro).

Oltre la polemica, il volume rivendica la sostanza di governo: miglioramento del conio, primo aumento della paga ai soldati dai tempi di Augusto, politiche cerealicole contro le carestie, difesa energica dei confini (in primis il fronte danubiano), anche con coinvolgimento personale. Ne esce un profilo più complesso e operativo, in dissenso con parte dell’aristocrazia, ma lontano dalla caricatura tirannica.

In conclusione, per Roberto non si comprende lo splendore antonino (Traiano, Adriano, Antonino Pio) senza rendere giustizia ai quindici anni di Domiziano e alla sua eredità amministrativa e militare. Mieli sottolinea l’intento: correggere una memoria abolita e restituire “giustizia e onore” a un imperatore a lungo ingiustamente infamato.

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